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Il Silent Selling è ancora sufficiente? Per fortuna c’è il field marketing 

silent selling

Il silent selling è morto: così si legge su Promotion Magazine in un interessante articolo. “Il classico connubio tra pubblicità e offerta a scaffale non governa più in maniera ferrea le scelte effettuate dal consumatore. È necessario, soprattutto per i marchi minori, coinvolgere il cliente, mettersi in ascolto e costruire una relazione con lui.”

Bisogna tornare a interagire con il consumatore soprattutto là dove il consumatore acquista. Per fortuna c’è il field marketing che con tre semplici azioni può sopperire all’insufficienza del silent selling.

Perché il silent selling non è più sufficiente?  

Facciamo un passo indietro. Il silent selling nasce con Clarence Saunder che agli inizi del ‘900 aprì il primo negozio self service. Lo shopper sceglieva cosa comprare fra le diverse marche e i diversi prodotti presenti nelle corsie e poi pagava in cassa. Le forze esterne che lo spingevano all’acquisto erano la pubblicità classica, con il suo dialogo unilaterale brand-consumatore, e la semplice presenza a scaffale del prodotto. Per più di un secolo la formula del silent selling ha funzionato e anche bene: le marche investivano nella comunicazione pubblicitaria e si preoccupavano di posizionare il prodotto in negozi, GDO e GDS.

Ora le cose sono cambiate e il silent selling sembra alla fine di una magnifica era. Nella realtà attuale consumatore e shopper non sempre coincidono, sono molto più informati e più diffidenti nei confronti della pubblicità “vecchio stile”, anche perché sono sommersi da comunicazioni outbound o inbound, offline e online. Oltre all’aumento dei touchpoint comunicativi sono aumentati anche quelli preposti alla vendita: diverse catene fra GDO e GDS, retail monomarca, temporary shop e soprattutto il grande mondo dell’eCommerce.

A tutto questo si aggiunge il fatto che il consumatore non viene visto dalle marche come prima. E’ stato stravolto l’assunto classico secondo il quale il consumatore è  un essere razionale che sceglie in modo informato e consapevole ogni prodotto esclusivamente in base alle proprie necessità. Neuroscienze ed economia comportamentale insegnano che al momento dell’acquisto intervengono dinamiche irrazionali ed emotive che al 95% dei casi sbilanciano le scelte del consumatore.

È chiaro dunque che sull’ultimo miglio, il punto vendita, il silent selling non è più sufficiente per la gran parte dei brand che non hanno uno stock of goodwill tale per cui l’accoppiata pubblicità-presenza a scaffale del prodotto funzioni. Vale a dire che a meno di essere Coca-Cola, è difficile che il consumatore X, vista la pubblicità di prodotto in TV o su un cartellone per le strade, vada poi a cercarlo disperatamente nel punto vendita vicino a casa, setacciandone tutte le corsie.

Per fortuna c’è il field marketing 

Coinvolgere il cliente, mettersi in ascolto e costruire una relazione con lui. Queste le dritte per far fronte alla non tanto nuova situazione socio-economica. Il field marketing nasce proprio con questa ottica: il marketing che direttamente parla al consumatore per creare brand awarenesse, incentivare la loyalty e spingere il sell out di prodotto.

Per coinvolgere il consumatore innanzitutto è banale dire che il prodotto deve essere presente a scaffale. Una prima azione è affidarsi all’azione commerciale di una società di field marketing i cui field sales non solo vendono il prodotto al buyer, favorendone il sell in, ma attraverso azioni trade marketing e visibility lo fanno vivere all’interno del punto vendita favorendone anche il sell out.

Seconda azione è aiutarne la visibilità con azioni di merchandising e di visual costanti che consentano, a seconda delle guideline espositive dello store specifico, di comunicare visivamente informazioni di prodotto, caratteristiche ed eventuali promozioni.

E poi si arriva al grande nodo: come passare all’azione vera e propria cioè all’interazione con il consumatore? La risposta sta nelle più classiche delle azioni field: la presenza di personale dedicato come promoter o hostess. Oppure ancora creare demo days per permettere l’esperienza di prodotto in store e farlo così conoscere a chi non ne ha mai sentito parlare.

Solo una figura umana può entrare in ascolto attivo, dialogare e risolvere qui e ora tutte le curiosità dello shopper sul prodotto. Field Marketing è entrare in relazione empatica con il consumatore, è avvicinare le magnifiche parole della pubblicità alla realtà delle persone che quotidianamente vanno per le corsie della grande distribuzione e scelgono cosa acquistare.

Leggi anche Pharmaretail: il field marketing al fianco delle farmacie.

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