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Storytelling di prodotto: come le parole influenzano la vendita

storytelling di prodotto

Le parole sono un’arma a doppio taglio: possono far vincere o far perdere. Sono strumenti potenti capaci di persuadere le persone o allontanarle. Se pensiamo al mondo della vendita, la loro potenza si fa più evidente. L’arte dell’oratoria e dello storytelling di prodotto sono oggi abilità che ogni venditore deve saper padroneggiare con maestria per giungere all’obiettivo finale, la vendita appunto. Perché allora non trasmettere anche ai promoter queste abilità?

Un mondo difficile e vendita intensa

Quello delle vendite è un mondo difficile, popolato oggi da consumatori informati, stimolati dal web e divoratori di recensioni. Pensare che la difficoltà nel vendere derivi solo da questa “nuova” realtà digitale è un nascondere la testa sotto la sabbia.

Ciò che non funziona nella vendita è sciorinare le fantastiche qualità di prodotto. Quello che non può funzionare è un monologo sul Brand rivolto al consumatore, che si trova a essere così spettatore e non più protagonista del punto vendita.

Quello che invece funziona è lo storytelling di prodotto: una comunicazione empatica che verte non tanto su ciò che si vende ma sul consumatore stesso. Cosa può fare questo prodotto per lui, per la sua vita e la sua quotidianità? Che nuovo desiderio può vivere la persona grazie a questo oggetto?

Uno e trino: il nostro cervello

Neuroscienze, neuromarketing e programmazione neurolinguistica (PNL): da tempo ormai queste parole sono entrate nel vocabolario di molti addetti del marketing, della comunicazione e soprattutto della formazione. Il fil rouge che le sottende è che la logica che governa i nostri cervelli non è così razionale: quando si tratta di decisioni e di acquisti, il nostro comportamento cambia seguendo una logica tutta umana e tutta personale ben lontana dai calcoli matematici dell’economia classica.

Nel 75% dei casi, fino anche nel 95%, infatti la molla iniziale che spinge un consumatore a focalizzare la sua attenzione su un prodotto arriva dalla parte più irrazionale del suo cervello.

Questo accade perché il nostro cervello è uno e trino: in psicologia si parla non di uno ma di ben 3 cervelli che fanno riferimmo all’evoluzione e all’adattamento dell’uomo nei millenni. Essi si attivano e intervengono nella scelta a seconda del contesto e della comunicazione che ricevono.

Il primo è il rettiliano: è il cervello primordiale, legato all’istinto e ai bisogni primari. Questo cervello è quello che decide già al primo sguardo se chi sta parlando è un leader o meno, se l’interlocutore è una persona competente o inaffidabile. Se non si ottiene la fiducia di questo cervello è molto difficile ottenerla in seguito.

Il secondo cervello è quello limbico ed è l’evoluzione del primo. Esso è la sede delle emozioni, dell’affetto e dei desideri evocativi che ci fanno stare bene. Il limbico si convince quando l’azione, per esempio l’acquisto, si lega a una sensazione positiva

Il terzo è la neocorteccia: è il cervello più giovane e più razionale, che cerca di governare le emozioni, che ragiona per causa-effetto. Questo cervello è la sede del linguaggio, della comunicazione e della logica. Valuta in modo freddo e calcolatore il contesto deducendo la soluzione migliore. Queste cervello ad esempio ama il linguaggio tecnico di prodotto.  

Storytelling di prodotto: la potenza di una storia

Il processo comunicativo deve tenere conto delle età di questi cervelli: è inutile convincere il più giovane se prima non si convince il più vecchio. Partire dal racconto tecnico del prodotto significa intraprendere la strada più difficile: la neocorteccia sarà pure interessata, ma non avremo la fiducia della persona (data dal rettiliano) né avremo creato empatia (dato dal limbico).

Come spiega magistralmente il noto Coach professionista Paolo Borzacchiello, quando si vende bisogna raccontare storie ai tre cervelli e bisogna farlo nel giusto ordine.

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Il rettiliano ama ascoltare storie perché chi racconta è il leader, il capo tribù, il saggio e quindi infonde fiducia. Attivata l’attenzione di questo cervello, è necessario attivare il secondo cervello, il limbico, che è attratto dagli avvenimenti della storia. Sede del desiderio e dell’emozione, permette di entrare in empatia con il racconto, cerca l’immedesimazione, creando una connessione con chi sta parlando. Solo alla fine, quando il racconto volge al termine, è possibile aggiungere le famose “caratteristiche tecniche” del prodotto: solo quando la persona si fida, ha provato delle emozioni o del desiderio può trarre le conclusioni in maniera razionale sul prodotto che si sta proponendo. Solo ora è ben disposta a scegliere il nostro prodotto.

La storia giusta inizia con l’ascolto

Una storia efficace è tale quando il consumatore può immedesimarsi in essa. Anche nel racconto di vendita si parla quindi di customizzare e di personalizzare l’esperienza che le persone stanno vivendo. Come può un promoter o un addetto vendita creare un racconto ad hoc se ha a disposizione pochi secondi per fermare e convincere una persona ad ascoltarlo?

Come si diceva sopra, l’errore più grosso che un venditore può fare è bloccare un consumatore e partire in quinta a parlare del prodotto e delle sue qualità incredibili. Al consumatore però non importa nulla del prodotto fino al momento in cui non gli viene data una ragione valida per averlo nella propria vita.

La “ragione valida” però non è uguale per tutti: ognuno ha motivazioni, sentimenti e vissuti quotidiani molto personali che lo influenzano nella scelta. Il promoter o venditore deve essere in grado allora di cogliere con l’ascolto attivo quali sono le particolarità del prodotto che possono interessare a chi ha di fronte.

Per esempio, se stiamo vendendo uno sportwatch e ci troviamo di fronte una signora di 50 anni, apparentemente in forma con una fede al dito, probabilmente è una mamma con dei figli che ha cura del proprio corpo. Perché non iniziare ad ascoltarla chiedendole se conosce il tipo di prodotto che stiamo promuovendo, se lo ha mai usato e, se sì, se si è trovata bene o male e con quale Brand?

Da questo ascolto possiamo iniziare a raccontare una storia dove lei è la protagonista, che come un’eroina vince le sfide quotidiane grazie al nostro prodotto. Scopriamo che è una mamma sportiva che va a correre tutti i giorni? Possiamo puntare su qualità tecniche precise dello sportwatch, come battiti registrati, misurazione dell’attività muscolare etc. Intuiamo che è una donna e mamma in carriera che non ha mai tempo di fare sport? Parliamo della sua quotidianità: in un giorno percorre diversi kilometri a piedi senza che se ne accorga. Con questo sportwatch può avere la consapevolezza del movimento del suo corpo, delle calorie bruciate, di quanti passi ha fatto anche solo stando in ufficio, ed è solo un orologio!

Se il consumatore cambia, il punto vendita cambia perché non cambiare anche la formazione dei propri staff? Ecco perché alla Free-Way Academy non forniamo solo formazione tecnica a promoter e staff, ma anche gli strumenti necessari a comprendere il lato umano e logicamente irrazionale della comunicazione, per stimolarli a creare storytelling di prodotto personalizzati.  

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